Tratto dal romanzo tardo ottocentesco pseudo-pedagogico Senza Famiglia del francese Hector Malot, approdò in Italia, sull’allora Rete 1 Rai, nell’ Ottobre del 1979, con il titolo “Remi, le sue avventure“, ottenendo all’epoca un clamoroso successo di pubblico, anche grazie alla promozione massiccia e al merchandising capillare già pronto per quel Natale (le ultime puntate con il liberatorio lieto fine, andarono furbescamente in onda durante le festività).
Un Anime su cui la Rai aveva puntato molto, e a ragione, con l’intenzione di ripetere l’exploit di Heidi, andato in onda alla stessa ora (alle 17.05) l’anno prima.
Prodotto in 51 episodi dalla Tokyo Movie Shinsha per la Nippon Television nel 1977, l’anime fu confezionato senza badare a spese, se si pensa che fu realizzato con una qualità cinematografica piuttosto che televisiva, su pellicola 35 mm invece che nel formato standard in 16 mm. Per l’occasione venne inoltre rispolverato un sofisticato sistema di ottica tridimensionale detto “effetto Pulfrich“, fruibile con degli occhialini caratterizzati da una sola lente scura all’occhio destro. Un effetto che si riusciva a ottenere solo quando la scena era in movimento. Questo spiega come mai le scene in Remi non sono mai fisse ma scorrono sempre in orizzontale.
La regia era di Osamu Dezaki, lo stesso di Lady Oscar e di Rocky Joe e le musiche del grande Takeo Watanabe.
All’epoca (e parlo di quarant’anni fa) l’anime fu salutato come un qualcosa di visivamente moderno, tecnicamente all’avanguardia, ma anche di grande impatto emotivo, e che si distingueva, rispetto agli anime seriali di quel tempo, anche per la cura nei dialoghi, per la profondità dei contenuti, per la fedeltà quasi maniacale al romanzo, ma soprattutto per l’attenzione al meraviglioso design dei personaggi realizzato da Akio Sugino e agli escamotage visivi, molti dei quali paesaggistici, che dessero costantemente risalto all’effetto tridimensionale (basta guardarlo con una lente scura all’occhio destro per percepire la profondità degli sfondi).
E non fu dunque un caso se la Rai dell’epoca, molto attenta alla qualità delle sue trasmissioni, lo accolse in pompa magna nei suoi palinsesti.
Un prodotto, col senno di poi, apprezzabile maggiormente da un pubblico adulto, anche per le situazioni spesso tragiche e deprimenti che vengono raccontate. Alcuni episodi hanno in effetti un tono volutamente “dark” (i primi due ad esempio) se non di puro horror (e mi riferisco all’episodio dei lupi, che pure all’epoca fece arrabbiare parecchi genitori, e che credo sia stato censurato in alcune scene nelle repliche successive).
Ma veniamo al punto. Dopo una manciata di repliche Rai, l’anime scomparve dalla programmazione televisiva, poi Mediaset nel 1999 ne acquistò i diritti e lo riadattò in una nuova versione decisamente “infantilizzata” (per un pubblico che presumibilmente non superasse i 5 anni), con un nuovo titolo mediasettizzato “Ascolta sempre il cuore Remi“, con numerose censure e tagli (un terzo di ogni episodio, al limite della comprensione del racconto), una nuova sigla (di Cristina D’Avena, ovviamente), e con una riscrittura dei dialoghi e un doppiaggio davvero poco curati rispetto al primo adattamento, edulcorato al punto che sembra di guardare un altro cartone e non il Remi che tutti conoscevamo attraverso la Rai.
Lo scempio non fu fatto solo nelle voci e nei tagli, ma anche nelle immagini: non si capisce bene per quali oscuri motivi, forse per per una questione di costi, ma il Master da cui avrebbero riadattato la seconda versione, non sarebbe quello originale in 35 mm come nella splendida e fedelissima versione Rai, ma un nastro analogico (delle videocassette per intenderci) in Ntsc con relativa trasposizione in PAL, e relativa perdita di colori, nitidezza, e fluidità.
Ed è un vero peccato se si considera che il piatto forte di questo anime è proprio la qualità delle immagini, tanto più se realizzate in funzione di un 3D impossibile da fruire in questa versione.
Per recuperarlo, col rendering da pellicola e col suo doppiaggio storico, bisogna purtroppo ricorrere a siti più o meno legali (io l’ho trovato su Dailymotion) visto che in commercio (se ancora in commercio) è disponibile solo la versione inguardabile di Mediaset.
“Remi, le sue avventure” è un prodotto ormai “marchiato” da luoghi comuni, da sfottò e da pregiudizi sulla sua effettiva tragicità, ma a distanza di quarant’anni, e a rivederlo nella sua confezione originaria (e in realtà ripresa da una qualche edizione estera in dvd con sopra il doppiaggio storico Rai), si conferma, almeno ai miei occhi, come uno degli anime per la televisione più belli, raffinati e suggestivi mai realizzati in assoluto, soprattutto nella parte grafica, nonostante sia ricordato oggi solo dalle vecchie generazioni e sia destinato inesorabilmente al dimenticatoio definitivo, almeno in Italia.
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