TOTÒ CHE VISSE DUE VOLTE

“Totò che visse due volte” di Ciprì e Maresco, del 1998, era una sorta di seguito de “Lo zio di Brooklyn“, ed entrambi i film erano più o meno una versione cinematografica di quell’immaginario e di quella estetica che molti di noi conoscevamo attraverso Cinico TV, che andava in onda all’interno di Blob, su Rai Tre.

Oggi, il film è ricordato per essere stato tra i più censurati e i più controversi nella storia del cinema italiano: all’epoca venne bloccato ancor prima della sua uscita nelle sale.

“Vietato a tutti”, fu il responso della Commissione per il visto censura, poiché “degradante per la dignità del popolo siciliano, del mondo italiano e dell’umanità, offensivo del buon costume con esplicito disprezzo verso il sentimento religioso, e con scene blasfeme, e sacrileghe, intrise di degrado morale“.

Il film fu poi “sbloccato” in appello, ma alimentò un acceso dibattito che tenne banco per settimane, in cui da una parte vi era chi difendeva la libertà di espressione, e dall’altra chi riteneva il film un abominio e pertanto da non mostrare.

Le polemiche erano alimentate anche dal fatto che il film fosse stato finanziato, quasi interamente, con i contributi dello Stato.

Questo scontro portò poi all’approvazione di un Disegno di Legge per l’abolizione della censura preventiva imposta ad un pubblico maggiorenne.

Ma perché “Totò che visse due volte” fu così controverso? Cosa mostrava nei fatti?

La prima polemica, che aveva accompagnato, in parte, anche l’uscita del film precedente, riguardava il fatto che vi comparissero persone con delle disabilità, e non del tutto consapevoli, in scene effettivamente degradanti, anche con genitali in bella vista, ai limiti della pornografia.

L’altra erano le scene blasfeme: uno degli “attori” che si concede un disperato amplesso con la statua della Madonna ( ma anche con una gallina), un “angelo” che viene sodomizzato in gruppo, un Gesù mafioso, sono solo alcuni esempi.

Io non faccio testo, perché ho amato Ciprì e Maresco, specie nel periodo di questi film, ma ritengo che “Totò…” sia un film a suo modo importante, profondamente religioso se lo si legge tra le righe, seppure, a mio avviso, meno riuscito del precedente.

È un film che spaccò comunque anche la critica, tra chi lo riteneva pretenzioso e inutilmente osceno, e chi invece lo riteneva di un livello artistico superiore, pasoliniano.

Ambientato in una Palermo presumibilmente Post Apocalittica, e in cui gli unici “rimasti” sono personaggi brutti, cattivi e grotteschi, il film racconta un’umanità superstite in un mondo ormai finito, che cerca disperatamente un contatto con il divino. Un mondo senza Dio, dove non c’è spazio per la bellezza (anche i personaggi femminili sono recitati da attori maschi), e dove prevalgono gli istinti più bassi e animali.

“Totò…” è un film dimenticato dai più, all’epoca visto da pochi, poiché boicottato anche da molte sale, ma a suo modo rappresenta un cinema oggi impossibile anche solo concepire. Un film malsano che si arrogava la libertà di poterlo essere, e che raccontava, in un bianco e nero da cinema muto, e attraverso questi personaggi, forse anche la nostra bruttezza, quella di un’umanità senza speranze, affranta, sconfitta, e abbandonata da Dio.

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